La Vendita Internazionale di Beni Mobili

Post on 07 Novembre 2015
by Avv. Nicola Ferrante

La vendita, solitamente denominata compravendita, è un rapporto obbligatorio, nonché un tipo di contratto, sicuramente molto diffuso e regola innumerevoli relazioni commerciali globali: confrontarsi con un contratto di vendita internazionale è quindi molto probabile. Per questa ragione, è altamente consigliabile avere una “panoramica” attendibile sulle fonti da consultare.

Urge premettere un dato importante: il riferimento va alla vendita di beni mobili, perché in diritto internazionale privato le norme che disciplinano i beni immobili tendono ad essere quelle del luogo in cui gli immobili sono ubicati.

In materia di vendita di beni mobili la precedenza non va al diritto di matrice comunitaria (Roma I e disciplina precedente), ma a due convenzioni internazionali. Da una parte abbiamo la Convenzione de l’Aja 1955, dall’altra la Convenzione di Vienna del 1980.

Le convenzioni hanno un oggetto diverso: mentre la prima ci fornisce criteri di collegamento (ci dice quali norme dobbiamo controllare per regolare la fattispecie), la seconda detta autonomamente la regolamentazione della fattispecie (non dobbiamo cercare altre norme). Il fatto che la Convenzione di Vienna sia “autonoma”, in quanto di diritto materiale universale, oltre che prodotta dalle Nazioni Unite e “forte” di un numero cospicuo di parti, fa sì che il testo a cui fare riferimento in via primaria sia proprio questo; va però rilevato che alcuni Stati UE come Regno Unito, Portogallo e Malta non hanno ratificato la Convenzione di Vienna del 1980.

La Convenzione di Vienna del 1980 di fatto governa le vendite internazionali di beni mobili a) se le parti hanno la sede d’affari in Stati firmatari della Convenzione (applicazione diretta, che prescinde dalla cittadinanza delle parti) oppure b) quando altre norme di DIP applicabili alla fattispecie rinviano alla legge di uno degli Stati firmatari (applicazione indiretta).

Se ne deduce che anche qualora fosse possibile applicare alla fattispecie il Roma I, ad esempio, l’atto rinvierebbe verosimilmente a uno Stato firmatario della Convenzione di Vienna del 1980, al punto che sarebbe esattamente questa, alla fine, a doversi applicare (salve le eccezioni di rinvii a leggi come quelle di Stati quali Regno Unito, Portogallo e Malta). Esempio: vi è margine per invocare il Roma I? Bene, il Roma I statuisce che il contratto di vendita è regolato dalla legge dello Stato nel quale il venditore ha la residenza abituale, che equivale a dire che se il venditore risiede abitualmente in Francia e la Francia è parte della Convenzione di Vienna del 1980 non resta che applicare…la Convenzione di Vienna del 1980.

Tra l’altro, né la Convenzione, né la disciplina comunitaria più volte menzionata (Roma I) indicano compiutamente la definizione di “compravendita”, col risultato che è ancora più complicato erodere il potere di applicazione della Convenzione di Vienna del 1980, anche avanzando argomenti di carattere semantico (una norma che qualifichi la compravendita in maniera più specifica).

Tuttavia, la Convenzione di Vienna del 1980 lascia salva la facoltà delle parti di non applicare la Convenzione stessa: potere derogare alla Convenzione significa che il principio della libera scelta della legge applicabile al contratto (autonomia contrattuale) sopravvive.

Qual è dunque lo spazio per l’applicazione di altre norme diverse dalla Convenzione di Vienna del 1980? In pratica, occorre versare in una di queste ipotesi:

  • le parti non hanno la sede di affari in Stati firmatari della Convenzione;
  • si applica, per un qualsiasi motivo, una norma di DIP specifica che non rinvia alla legge di uno degli Stati firmatati della Convenzione;
  • le parti del contratto, benché appartenenti a Stati firmatari della Convenzione, si accordano liberamente sulla legge applicabile al contratto (come consentito dalla Convenzione).

Insomma, casi abbastanza eccezionali rispetto alla regola. Focalizziamoci sulla Convenzione di Vienna del 1980, allora.

Essa si applica ai contratti di vendita di beni mobili, ma è evidente che i contratti cui si riferisce sono per lo più imprenditoriali: sono escluse dal campo di applicazione della Convenzione le vendite per uso personale, familiare o domestico, ma già la predetta locuzione “sede di affari” delle parti del contratto è piuttosto emblematica. Per semplificare le cose, se vendo la mia motocicletta a un amico francese, il contratto che concluderemo ben può svincolarsi dalle disposizioni della Convenzione di Vienna del 1980.

Si noti che la Convenzione stabilisce che le parti sono vincolate dagli usi ai quali hanno aderito e dalle abitudini che si sono stabilite fra esse, aprendo la strada all’applicazione di regole peculiari come quelle già viste in precedenza (ad esempio, la lex mercatoria).

In più, la Convenzione di Vienna del 1980 disciplina solo alcuni aspetti del contratto di vendita: la formazione del contratto, i diritti e gli obblighi che il contratto fa sorgere tra il venditore e il compratore. Restano “fuori” dalla Convenzione altri aspetti come la validità del contratto o gli effetti che il contratto può avere sulle merci vendute: per questi elementi le regole da seguire torneranno ad essere quelle classiche, nel senso che se le parti potranno/vorranno farlo si accorderanno tra loro come meglio credono, altrimenti osserveranno le norme previste (si veda, ad esempio, quanto detto a suo tempo sulla validità del contratto).

Circa la forma del contratto, la Convenzione non pone limiti particolari: di base la forma è libera, salva la facoltà di richiesta di forma scritta.

Le obbligazioni delle parti, invece, sono essenzialmente queste:

  • il venditore ha l’obbligo di consegnare i beni di quantità e qualità pattuite, trasferirne la proprietà, rilasciare tutti i documenti relativi ad essi;
  • il compratore ha l’obbligo di pagare il prezzo dei beni e di prenderli in consegna.

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