A cura dell'avvocato Nicola Ferrante e Associati
Malgrado le parti siano tendenzialmente libere di scegliere la legge regolatrice del contratto, le questioni relative alla capacità dei contraenti sfuggono da questa facoltà: è bene ricordarselo sempre.
Certo, nei contratti internazionali, specie nei rapporti commerciali, è arduo scontrarsi con un problema di capacità delle parti; ma il tema resta comunque delicato e acclarare da subito la sussistenza o meno della capacità della controparte (o anche della propria, perché no…) sulla scorta della legge (giusta) da applicare a tale questione a volte può rivelarsi un’azione decisiva.
Dobbiamo continuare a seguire le “indicazioni” del solito art. 57, che ci porta alla Convenzione di Roma del 1980, espressione che ad oggi dobbiamo leggere come “regolamento 593/08/CE” o “regolamento Roma I” (chiaramente se applicabile, ma stiamo sempre considerando la casistica più frequente, quindi teniamo come riferimento il regolamento), anche se il risultato ottenuto sarà assimilabile alla lettura dell’art. 23 della l. 218. Andiamo quindi a vedere cosa dice il regolamento.
Stando al Roma I, otteniamo un’unica informazione specifica, al di là della deroga generale alla regola della libera scelta della legge. Il regolamento si sofferma sul caso dei due contraenti persone fisiche (ad esempio, un italiano e un francese) che abbiano concluso il contratto in uno Stato (ad esempio, in Finlandia) e precisa che, se uno dei due (ad esempio, l’italiano), pur essendo risultato capace secondo la legge di quel luogo (finlandese) intenda invocare l’incapacità secondo altra legge che lo tocchi in qualche modo (ad esempio, la legge italiana), l’incapacità potrà valere solo se anche l’atra parte era a conoscenza della circostanza (incapacità secondo la legge italiana) o l’abbia colpevolmente ignorata.
Per il resto il regolamento tace. Ma allora, se il regolamento vieta alle parti di un contratto di scegliere la legge regolatrice rispetto alle questioni di capacità e se l’unico aspetto illustrato dal regolamento è quello appena esposto, quale legge regolerà le questioni di capacità delle parti di un contratto internazionale? Risposta: per ciascuna parte prevale le legge del rispettivo Stato di “appartenenza”, cioè le legge italiana per un contraente italiano, quella francese per uno francese, ecc. ecc.
Il reg. 593/08/CE non aggiunge nulla di particolare alla Convenzione di Roma del 1980, pertanto quanto appena spiegato vale anche per quei contratti più “vecchi”, ed ancora idonei a produrre effetti giuridici, ai quali deve comunque applicarsi l’”antenato” del regolamento, ovverosia la Convenzione di Roma.
In questa sezione pubblichiamo gli articoli sul contratto nel diritto internazionale, sull'applicazione della convenzione di roma del 1980 e sul regolamento 593/08/CE, sulla legge applicabile al contratto internazionale, dei criteri specifici in caso di omessa selezione della legge applicabile, dei criteri generici in caso di omessa selezione della legge applicabile,dei limiti alla libera scelta della legge applicabile, delle regole non statali applicabili al contratto internazionale, delle norme di applicazione necessaria, sull'ordine pubblico internazionale, sulla validità sostanziale e formale del contratto internazionale, sulla capacità delle parti.
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Nota: si precisa che gli articoli presenti su questo sito sono da considerarsi come un riassunto, a mero titolo informativo, della più ampia disciplina del diritto internazionale. Lo studio non si assume nessuna responsabilità per l’uso di tali informazioni. Gli articoli sono protetti dalla legge sul diritto d’autore.
È tempo di interrogarci sui possibili dubbi circa la validità o meno di un contratto internazionale. Per ovvi motivi, l’argomento è di assoluta importanza.
Il contratto internazionale che ho concluso è valido oppure no? Se devo concludere un contratto con una controparte non italiana, ed essendo verosimile che questo contratto non sarà regolato dalla legge italiana, quand’è che il contratto potrà dirsi invalido?
Vediamo di rispondere compiutamente alle domande sollevate, premettendo che l’invalidità ben può coinvolgere un’unica parte del contratto, invece della sua totalità.
Eccettuati i contratti
la disciplina da seguire la ritroviamo nuovamente nel regolamento 593/08/CE.
La soluzione generale da far prevalere, in estrema sintesi, è cercare di dare peso alla volontà delle parti, al fine di salvaguardare la validità del contratto: il contratto è valido se risulta valido secondo la legge eventualmente scelta dalle parti. Solo l’invalidità per conclusione del contratto senza il libero consenso del contraente potrà essere invocata anche secondo altra legge, vale a dire quella dello State in cui quel contraente ha la residenza abituale.
Spostandosi alle questioni, più specifiche, di presunta invalidità per ragioni di forma, il contratto sarà valido ma anche se non lo è sulla base della legge scelta ma lo è secondo la legge del luogo in cui è stato concluso (o del luogo in cui si trovava una delle parti quando l’ha concluso). Esempio: contratto concluso in Belgio tra due persone, una italiana e una croata, che scelgono la legge olandese; se il contratto non dovesse essere valido dal punto di vista formale ai sensi della legge scelta (olandese), potrà essere “salvato” dalla legge del luogo di perfezionamento (belga). Altro esempio: stesse parti, stessa legge scelta, ma contratto concluso in luoghi diversi (ad esempio, l’italiano l’ha concluso dall’Italia e il croato dalla Croazia); in questo caso, se non il contratto non fosse formalmente valido ai sensi della legge scelta (olandese) potrà essere “salvato” dalle leggi italiana e croata, posto che il contratto è stato concluso in luoghi diversi.
Rimane il fatto che, parlando di “luogo di conclusione del contratto” diviene imprescindibile il “tempo di conclusione del contratto”; e il “tempo di conclusione” sarà definito solo sulla base della legge scelta (che nell’esempio che si è fatto sarà unicamente quella olandese, ergo non si potrà definire il tempo di conclusione del contratto sulla base delle leggi belga, italiana o croata).
Anche per le questioni della validità del contratto il regolamento non propone significative differenze rispetto alle norme della Convenzione di Roma del 1980; vi è solo una novità derivante dal diritto interno. Mentre con riferimento alla Convenzione l’Italia non aveva accettato che le conseguenze della nullità fossero sottoposte alla legge regolante il contratto (con la conseguenza che in tal caso non si applica l’art. 57 l. 218/95), per quanto concerne il regolamento la posizione del nostro paese è cambiata.
In conclusione, per capire se il mio contratto internazionale è valido o meno e per capire quando il contratto internazionale che intendo concludere sarà valido o meno ci si riferirà:
Consultando tali leggi si scoprirà in breve tempo se e quando il contratto (o una parte di esso) potrà considerarsi invalido (o, viceversa, valido).
In questa sezione pubblichiamo gli articoli sul contratto nel diritto internazionale, sull'applicazione della convenzione di roma del 1980 e sul regolamento 593/08/CE, sulla legge applicabile al contratto internazionale, dei criteri specifici in caso di omessa selezione della legge applicabile, dei criteri generici in caso di omessa selezione della legge applicabile,dei limiti alla libera scelta della legge applicabile, delle regole non statali applicabili al contratto internazionale, delle norme di applicazione necessaria, sull'ordine pubblico internazionale, sulla validità sostanziale e formale del contratto internazionale, sulla capacità delle parti.
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Le norme di applicazione necessaria sono importanti perché non possono essere disattese anche in presenza di un rinvio che a livello teorico sarebbe del tutto legittimo (es. possiamo rinviare alla legge greca perché in questo caso ci è consentito farlo). Vanno quindi considerate con scrupolo quando si vuole concludere un contratto internazionale.
In effetti, anche se ci si trova nell’ampia casistica di contratti internazionali per i quali è possibile scegliere la legge di uno Stato (ad esempio, quello greco), non va dimenticato che l’internazionalità del contratto è data proprio dalla contemporanea sussistenza di legami con altro ordinamento statale della fattispecie contrattuale; e se, ad esempio, la scelta della legge greca per il contraente italiano finisce per confliggere con una norma italiana di applicazione necessaria, la situazione venutasi a creare non sarà “tollerabile”, per via della particolare natura di quella norma (italiana). Il rinvio alla legge greca sarebbe dunque negato già ex ante.
Si consiglia sempre di tenere d’occhio questo potenziale problema, perché anche la sussistenza di facoltà apparentemente vantaggiose potrebbe poi nascondere sorprese, indipendentemente dal fatto che la legge scelta sia quella italiana o meno.
Norme italiane di applicazione necessaria, ad esempio, esistono anche nei rapporti commerciali regolabili a mezzo di contratto: si pensi a molti diritti dei lavoratori, che non possono essere derogati tramite contratti di lavoro disciplinati da leggi di altri Stati che siano più sfavorevoli rispetto agli “standards minimi” previsti dal legislatore italiano per i lavoratori; si pensi ad alcune tutele di carattere sociale in materia di locazione (ad esempio, circa gli sfratti).
Alcune precisazioni aggiuntive sulle norme di applicazione necessaria.
Queste norme sono privatistiche, non pubblicistiche: è specialmente per tale ragione che differiscono dall’ordine pubblico, che sarà il prossimo tema da sviscerare.
Inoltre, non sempre la norma in questione ci dice se dobbiamo considerarla come di applicazione necessaria o meno, e ciò, come si può intuire, è un limite non da poco. Com’è possibile regolarsi se non vi è una “lista” di norme di applicazione necessaria o se non vi è certezza sulla natura di norma di applicazione necessaria di una data norma?
Per potersi premunire meglio, si consiglia di ragionare sulla finalità della norma che si presta ad essere considerata tale: generalmente, ci si deve premurare di capire se la norma (privatistica) risulti essere fondamentale per la salvaguardia degli interessi (pubblici) precipui dello Stato che occorre considerare in virtù dei profili di internazionalità della fattispecie. Leggendo il reg. 593/08/CE si ottiene che: “(l)e norme di applicazione necessaria sono disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento”.
La forza delle norme di applicazione necessaria può però essere attenuata dall’esigenza di attuare il diritto dell’Unione europea, che avrà sempre la precedenza, salvi i casi di norme di applicazione necessaria adottate per attuare precetti costituzionali. Pertanto:
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Tra i limiti da considerare quando si conclude un contratto internazionale c’è anche il rispetto dell’ordine pubblico.
Sappiamo che è difficile paventare una violazione dell’ordine pubblico quando si conclude un contratto internazionale, ma è sempre cosa buona ragionare succintamente sulla questione; d’altronde, anche il reg. 593/08/CE ci dice che l’applicazione di una legge che governa il contratto in virtù del regolamento (ossia una legge che abbiamo potuto scegliere – regola – o che ci viene imposta per fattispecie particolari – eccezione) non può essere manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro. Quindi, meglio aprire una breve parentesi su questo “ordine pubblico”.
In questa sede ha poco senso divagare sulle teorie dottrinarie relative all’ordine pubblico internazionale, ma è sufficiente sapere che tale limite esiste, in cosa si sostanzia (grossomodo) e quando potrà effettivamente trovare “campo libero” per frapporsi tra l’intenzione di uno o più dei contraenti e il risultato da questi auspicato.
Il concetto di ordine pubblico è di difficile identificazione, non solo perché già di per sé è generico, ma perché l’ordine pubblico di cui stiamo parlando è, a dirla tutta, quello…interazionale: ordine pubblico internazionale. In più, l’ordine pubblico internazionale va visto da tante prospettive quanti sono gli ordinamenti nazionali esistenti. Insomma, è un concetto complesso, poiché tende ad essere indeterminato ed è suscettibile di variare nel corso del tempo. Sintetizzando al massimo, l’ordine pubblico internazionale ricomprende valori e principi giuridici, sociali, economici e politici che per un ordinamento statale sono fondamentali e che contribuiscono a determinarne l’essenza: spesso e volentieri si tratta di valori e principi costituzionali, che possono essere comuni a più stati o organizzazioni (ad esempio, il rispetto di alcuni diritti umani o fondamentali).
L’ordine pubblico internazionale di primo acchito potrebbe tranquillamente mischiarsi alle norme di applicazione necessaria, ma non è così: le prime restano norme privatistiche che impediscono il rinvio alla legge scelta a priori; invece, le norme riguardanti l’ordine pubblico internazionale sono pubblicistiche e operano a posteriori, cioè quando il rinvio è già stato effettuato (privandolo di ogni effetto).
Anche per questi motivi, il pregiudizio dell’ordine pubblico internazionale dato dalla scelta di una legge statale per la regolamentazione di un contratto va necessariamente valutato in concreto, parametrando il rischio su quella precisa fattispecie che si è originata: non basta che la norma sia astrattamente incompatibile con l’ordine pubblico (internazionale, ma visto attraverso l’ordinamento di un determinato paese). In aggiunta, il problema non investe la norma in sé, ma i suoi effetti.
Infine, a testimonianza della portata del tutto eccezionale che deve avere un limite come quello dell’ordine pubblico, il regolamento Roma I sottolinea che il rinvio a una norma straniera concretamente lesiva dell’ordine pubblico internazionale non potrà avere efficacia solo se l’incompatibilità è manifesta.
Fortunatamente, il rischio di compromissione dell’ordine pubblico internazionale è basso nella materia delle obbligazioni contrattuali, risultando semmai più concreto in altri rapporti, come quelli di famiglia, ma non è un buon motivo per prenderlo alla leggera.
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In alcune tipologie di rapporti commerciali internazionali tra parti che intendono vincolarsi tra loro capiterà di imbattersi in regole diverse dalle norme statali. Queste regole sono state anticipate allorché si è trattato l’argomento della possibile applicazione o meno al contratto di regole non statali e si è avuto modo si affermare che in determinati casi simili evenienze sono plausibili, a patto che non si commetta l’errore di pensare che le controversie relative a quei contratti possano essere poi risolte da un giudice inteso quale potere statale (che, per l’appunto, applicherà solo “regole” statali).
Entriamo adesso un po’ più in profondità e vediamo alcuni esempi di regole non statali capaci di trovare comunque applicazione nell’universo dei rapporti contrattuali commerciali internazionali.
1) La lex mercatoria. Con l’espressione lex mercatoria si riassume una serie di usi e prassi sorta dalle interazioni commerciali tra attori agenti nell’ambito di alcuni settori che si prestano meglio di altri alla contrattualistica internazionale (ad esempio, assicurazioni e trasporti); non stiamo parlando si regole statali, ma di una sorta di consuetudini commerciali. Sappiate, dunque, che alcune attività commerciali che intendete svolgere potrebbero essere assorbite da queste regole particolari (o, d’altro canto, che avrete la possibilità di incanalare tali attività verso tali regole). Un appunto sulla risoluzione di controversie in punto di contratti regolati dalla lex mercatoria: occorre ricordare che ciò sarà generalmente demandato ad istituti appositi, come collegi arbitrali permanenti. Un esempio di regole rientranti nella lex mercatoria (probabilmente noto ai più) è dato dagli “Incoterms”, che prevedono, nel corpo dei contratti di vendita internazionale, alcune clausole (si pensi a quelle sul rischio del perimento delle merci durante il trasporto, o a quelle per l’assicurazione del trasporto a carico del venditore).
2) I principi unidroit e principi di diritto europeo dei contratti. Le regole contenute in entrambe le tipologie di principi, per quanto tendenti ad obiettivi diversi, sono piuttosto datate ma storicamente consolidate. Derivano dall’esigenza di rendere più flessibili gli orientamenti nazionali in vari settori commerciali, piegandoli così alle esigenze di un’economia caratterizzata da interazioni sempre più portate a estendersi oltre i confini di una singola realtà statale. L’obiettivo principale dell’Istituto Unidroit, ad esempio, è quello di predisporre strumenti che consentano agli Stati o a gruppi di Stati l’adozione di legislazioni uniformi di diritto privato.
Sarebbe erroneo pensare che queste regole non siano ancora in auge per il fatto di essere radicate nel tempo, basti pensare che sono state riviste più volte nell’ultimo decennio e che l’Istituto Unidroit, l’organizzazione che ha codificato i principi unidroit, annovera attualmente una sessantina di Stati sparsi in tutti i continenti, ragion per cui è possibile che un contratto internazionale tra operatori commerciali possa essere regolato (tramite scelta consensuale o “di default”) dai suddetti principi.
Logicamente, le controversie su quel contratto sfuggiranno alla giurisdizione del giudice, potendo essere affidate soltanto ad altri organi (ad esempio, la Camera di commercio internazionale, da indicare in apposita clausola compromissoria figurante nel contratto internazionale).
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